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Piangere è segno di debolezza? Niente affatto, lo studio sconvolge ogni credenza

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Al contrario di quanto si pensa comunemente piangere non significa essere deboli. Ecco il parere di diversi esperti del settore in merito a questa tematica

Il pianto viene spesso associato alla debolezza o comunque ad emozioni negative. D’altronde in una società come quella odierna che si basa esclusivamente sull’apparenza sono decisamente accettate meglio l’allegria e la gioia. Per via di ciò troppo spesso si finisce per tenere nascosti i propri momenti di tristezza o dolore.

Ciò però porta a chiudersi in se stessi e non è affatto positivo a livello psicologico per il singolo individuo. Una conseguenza spiacevole e frutto di concezioni ormai oltrepassate. Gli stati d’animo nella loro diversità fanno infatti parte della vita quotidiana e stigmatizzarli e portarli addirittura a reprimerli di certo non è salutare.

Perché piangere non è un segno di debolezza: la spiegazione

D’altronde i bambini nascono piangendo e durante la fase dell’infanzia lo fanno spesso. Si tratta del modo più efficace di comunicare un dolore, un malessere oppure una paura. Crescendo poi si impara a gestire questi momenti e a non piangere più. Nulla di più sbagliato. Piangere è il modo più efficace per buttare fuori le emozioni forti, la tensione e persino la gioia e la commozione.

Per questo non va bloccato né tanto meno va interpreto come un segno di debolezza. A tal proposito è importante il parere di Michael Trimble neurologo della University College London’s Institute of Neurology che nel suo libro intitolato “Why Humans Like To Cry” identifica il pianto come passo fondamentale nel processo evolutivo dell’uomo.

In pratica secondo il suo punto di vista piangere è un modo di comunicare in maniera emotiva ed affettuosa, ma si tratta di uno segno di forza e non di debolezza. Gli esseri umani sono gli unici esseri a poter avvalersi di questo strumento per poter esternare ciò che provano. Una caratteristica che ha preceduto anche l’acquisizione del linguaggio.

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Lo psicologo Daniel Goleman invece afferma che quando tratteniamo le lacrime sono le nostre emozioni che lottano per potersi esprimere. Così facendo non facciamo altro che subiamo la tristezza che ci portiamo dentro e che invece dovremmo esternare per sentirci meglio. Sulla stessa lunghezza c’è il dottor Frey, biochimico a capo del dipartimento di psichiatria del Ramsey Medical Center. Nella sua ottica le lacrime consentono al corpo di rilasciare le tossine indotte dallo stress emotivo e aiutano a calmare lo spirito. Se ciò non basta è bene fare un ripasso del pensiero di Sigmund Freud, uno dei padri della psicoanalisi. Nei suoi pensieri ha sempre affermato che piangere è un momento catartico e aiuta a liberare il paziente dalle angosce del subconscio.