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RDC, così cambierà con il Governo Meloni: molte persone non lo avranno più

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Meloni cambia l’RDC – pixabay
Che il Reddito di Cittadinanza non sia mai piaciuto all’attuale nuovo Governo di centrodestra non è di certo un segreto, tra le misure che saranno presto attuate son compresi anche tutti i cambiamenti che verranno apportati all’RDC.

I piani della Meloni riguardano soprattutto una modifica ai requisiti necessari per ottenere il sostegno economico ed anche alle somme destinate alle categorie di cittadini più fragili, che non possono essere inserite attivamente nel mondo del lavoro.

RDC, come cambierà dal 2023

Per la Meloni e per i leader di Lega e Forza Italia il Reddito di Cittadinanza è sempre stato un netto fallimento dello Stato, tanto che la nuova Premier, durante il discorso a Palazzo Chigi, la Meloni ha dichiarato che il reddito: “ha rappresentato una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia”.

Il primo degli obiettivi del Governo riguarda l’aumento dell’occupazione della maggioranza dei percettori e l’aumento del sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare, sia per condizioni fisiche che pratiche.

Il Reddito di Cittadinanza potrebbe quindi essere diviso in due strumenti, uno assistenziale e uno che supporti l’inserimento lavorativo dei disoccupati che, secondo i dati dell’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro ammontano a circa 660 mila, che rappresentano il 71,8% dei percettori.

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Reddito di Cittadinanza – pixabay

A chi spetterà il Reddito di Cittadinanza

Con questa impostazione, divisa in due strumenti, verrebbero escluse automaticamente tutte le persone che ad oggi possono ricevere offerte di lavoro, dedicando parte delle somme risparmiate al sostegno dei disabili, degli anziani, delle persone espulse dal mondo del lavoro al quale non avranno più modo di accedervi.

I restanti fondi, sommati alle risorse del Fondo sociale europeo potranno essere investiti per incentivare l’attivazione di corsi formativi sul territorio per i quali sarebbe previsto un sussidio, così da creare personale specializzato da introdurre nel mercato lavorativo.

Parte del lavoro di formazione doveva essere volto dai centri dell’impiego ma ad ora questo aspetto è risultato decisamente fallimentare, dato che alle persone disoccupate non sono stati forniti gli strumenti per formare le proprie competenze.

Infatti, dei 660mila beneficiari soggetti al patto per il lavoro circa il 70% non ha mai ricevuto un contratto di lavoro subordinato negli ultimi 3 anni e, per l’Anpal: “Si tratta di individui che complessivamente esprimono alcune fragilità rispetto al bagaglio con cui si affacciano ai percorsi di accompagnamento al lavoro e che nel 70,8% dei casi hanno conseguito al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore.