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Facebook, cosa è meglio non pubblicare per evitare grossi rischi

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Non tutto può essere reso pubblico e “spiattellato” sui social. In alcuni casi, si va incontro a grossi rischi.

I social network hanno, senza dubbio, cambiato il nostro modo di condividere le emozioni e gli stati d’animo. Quello che prima restava tra le quattro mura di casa nostra, oggi viene condiviso con tutti i nostri contatti. Dalla gioia al dolore, dalla tristezza alla rabbia, tutto ma proprio tutto viene reso pubblico. In altre parole, il nostro profilo social è come un libro aperto a tutti, sia nel bene che nel male.

Tuttavia, non sempre è opportuno pubblicare qualsiasi cosa ci passi per la testa. Ci sono dei casi in cui, “spiattellare” le proprie vicende sui social può causare seri rischi.

È il caso di una donna che, dopo aver postato sulla propria pagina Facebook la foto di parte di una lettera di messa in mora emessa a suo carico, con tanto di commento, si è ritrovata a fare i conti con un Giudice. Ecco nel dettaglio tutta la vicenda.

Facebook, ecco cosa è meglio non pubblicare per evitare rischi: la vicenda

Attualmente Facebook conta oltre due miliardi di utenti e tutti possono esprimere le proprie opinioni liberamente. Questo a patto che, manifestando il proprio pensiero non vengano danneggiati gli altri. Talvolta, però, la sfrenata voglia di essere protagonisti, potrebbe spingerci ad usare i social network in modo sbagliato e pubblicare contenuti che possono comportare guai seri.

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Ad esempio, lo standard di comunità di Facebook, tra le altre cose, non consente di postare commenti con contenuto deplorevole, minaccioso, che incita odio e violenza o denigratorio. Proprio il motivo per il quale un’utente si è ritrovata faccia a faccia con un Giudice. Infatti, la signora in questione avrebbe pubblicato la foto dello stralcio di una lettera di messa in mora emessa a suo carico, arricchendola con tanto di commento. E proprio il commento sarebbe stata la causa dei suoi grossi guai.

L’utente è stata trascinata in tribunale ed accusata in primo ed in secondo grado del reato di diffamazione. Vano è stato il suo ricorso in Corte di Cassazione, con l’intento di scrollarsi di dosso tutte le accuse. Giacché, anche la Corte di Cassazione avrebbe confermato tutte le accuse a suo carico, giudicando il commento “dal contenuto offensivo e denigratorio”. Insomma, nessuna giustificazione per l’utente Facebook che si è vista respingere il ricorso e confermare la condanna a suo carico.